La scomparsa di un filosofo è sempre destabilizzante, coglie impreparati e sprovvisti, fino a farci sentire privi di quella protezione e di quel riparo che può fornire la luce del pensiero. Con questa consapevolezza, vivo la perdita del professor Bodei. Amico presente, studioso sempre disponibile, in particolare nei riguardi dei giovani, verso i quali si è sempre prodigato affinché la filosofia fosse, non una mera disciplina scolastica o accademica, ma un faro attraverso il quale analizzare la realtà storica.
Chiediamoci, quindi: qual è il posto di Remo Bodei nel panorama del pensiero contemporaneo?
Da critico acuto della filosofia del Novecento, Bodei non ha mai smesso di porsi la domanda sull’identità di ciascuno e su quella di interi gruppi o popoli, consapevole dell’urgenza ricoperta da un tale problema per la riflessione e per la politica. La sua vasta produzione, nella diversità dei temi e degli argomenti, ha delineato la mappa dei percorsi in cui la filosofia incrocia gli altri saperi, senza mai snaturare il carattere precipuo delle singole discipline. Egli ha colto il movimento delle idee, nella loro specificità, puntando l’attenzione sugli snodi del discorso filosofico. Abbandonando sia la prospettiva della storia lineare, che quella della descrizione di sistemi miniaturizzati e isolati, Bodei ha preferito la rappresentazione di scene teoriche coese, scandite da quadri concettuali, in cui i protagonisti intrecciano i loro argomenti nello sforzo di chiarire problemi ancora attuali.
La sua attenzione nei confronti delle passioni umane, il suo interesse nei riguardi del ruolo svolto dalla tecnica e dalla scienza quali strumenti artificiali attraverso i quali plasmare la coscienza individuale sono stati i segni distintivi di una riflessione sempre attenta alla vita, e alla polis quale spazio di incontro e di relazione tra gli uomini. Del resto, alcuni degli autori con i quali il filosofo italiano si è confrontato – riprendendo il dialeghestai di socratica memoria – sono stati proprio Platone, Agostino, Hegel, Hölderlin, Heidegger, Arendt, Pirandello. E se è vero che l’allievo si riconosce dai maestri, essersi posto sotto la sequela di un tal stuolo di pensatori è valso ad offrire a noi, suoi eredi, una visione della filosofia quale pensiero vivente; quale strumento per il riconoscimento e l’affermazione di se stessi all’interno della comunità d’appartenenza. Bodei, quindi, ha sempre proposto un sapere incompiuto ed aperto, perché sempre aperto alle circostanze all’interno delle quali gli uomini agiscono e scelgono. Nel mostrare il senso del filosofare, Bodei intreccia le vicende storiche con i problemi della società, mettendo in relazione i contributi dei grandi pensatori con l’analisi delle istituzioni civiche, dalle scuole ai mezzi di comunicazione. La sua filosofia non tralascia mai di menzionare il contributo offerto dalla saggezza indiana, cinese, araba e giapponese; allargando il pensiero occidentale ai contributi proposti da altre civiltà e da altre culture. In altre parole, come una sorta di allenamento per l’intelletto, Bodei ha sempre posto noi – suoi allievi – in contatto con alcuni dei principali temi affrontati dalla filosofia, dalla psicologia, dalla sociologia, offrendo strumenti per ulteriori ricerche interdisciplinari. L’obiettivo principale, proposto dal Remo Bodei, è sempre stato quello di stimolare ciascuno a sperimentare da sé soluzioni ai problemi in cui incappiamo nel quotidiano.
Volendo, quindi, rintracciare il cuore del suo ultimo periodo filosofico, di certo, si ritrova in Bodei l’idea secondo la quale ciascuno di noi, pur appartenendo ad una comunità storica, rimane nella sua unicità sempre se stesso. Ognuno di noi, con la nascita, s’inserisce in una comunità di viventi, con la quale condivide il destino del suo tempo e si prepara ad originare, a sua volta, nuove generazioni. In altre parole la nostra nascita avviene all’interno di un mondo preesistente, un mondo di istituzioni, di tradizioni, di costumi, già consolidati. E anche se ciascuno di noi è il risultato di un’interrotta catena di viventi, sarà sempre una novità inimitabile. Nasciamo senza volerlo. E dalla nascita trae origina la nostra libertà. E con essa un nuovo inizio per il mondo. Ma, ci rammenta Bodei: «per “meritare la propria nascita”, ognuno deve diventare contemporaneo di se stesso, deve imparare a orientarsi con sufficiente consapevolezza specie nello scegliere quale strada prendere nella vita». Nel tardo capitalismo finanziario, accanto alla maggiore libertà dei mercati e allo sfaldarsi delle regole e delle procedure che regolano l’ingresso e l’uscita dall’impiego, la vita lavorativa è diventata aleatoria, obbligando a una continua reinvenzione di noi stessi. La storia del Novecento mostra come nelle nostre società, al miglioramento personale si accosti un cambiamento sociale. Il fervore delle rivoluzioni socialiste, delle lotte di liberazione nazionale, delle rivendicazioni democratiche, in favore di una maggiore eguaglianza, sono avvenute dal desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita. Da sempre, in genere, quel che siamo non ci basta. Siamo ontologicamente mancanti. Bramiamo sempre altro. Non siamo pronti ad accontentarci, o forse non lo saremo mai. Le scoperte scientifiche hanno fatto fiorire il desiderio di soddisfare bisogni prima repressi, aspettative considerate, una volta, irrealistiche. Acuta, impaziente e improrogabile diviene l’aspirazione a una vita migliore. L’immaginazione diviene il punto dal quale pensarci diversamente. Dobbiamo rischiare, consapevoli che non sarà sempre facile. Eppure di certo sarà affascinante proiettarci, con l’immaginazione, verso ciò che non è ancora. E che vorremmo per noi. Infatti, nel tentativo d’ognuno di diventare quel che è, o di costruire se stesso, quegli cerca la pienezza e il significato della propria esistenza anche nel mondo dei desideri e della fantasia. L’immaginazione è la facoltà con la quale rendiamo presente ciò che è assente. All’immaginazione si lega l’imitazione degli altri. In assenza di modelli vincolanti il desiderio di costruire se stessi per interposta persona serve a delineare la propria fragile identità. L’inventiva individuale, la conoscenza, l’educazione sono nuove risorse per favorire la crescita umana e civile. La tendenza è nel cercare qualcosa di più alto, che conferisca senso all’esistenza, sottraendola al rimpianto per la sua inevitabile perdita. L’esigenza di immaginare utopicamente altre vite risulta essere sempre più un dovere delle giovani generazioni. Ai giovani, nota Bodei: «l’avvenire si apre al possibile, e nell’immaginazione si popola di aspettative e di desideri». In periodi difficoltosi e di veloci cambiamenti, l’entusiasmo, l’impeto della giovinezza si mostrerà vincente. I giovani, infatti, sono chiamati a ragionare sui mezzi per contrastare l’incertezza e il caso. I giovani sono da sempre raffigurati come colmi di desideri, e di aspettative per il futuro. E i vecchi come coloro che si pongono il problema di attribuire un senso alla vita che è trascorsa, e nel suo incedere rischia di apparirne priva. Eppure, nell’attuale contesto di crisi economica e di precarie condizioni lavorative ritenere che i giovani siano caratterizzati dalla speranza sembra essere ironico. I giovani, quasi indossando i panni d’un Prometeo capovolto, sono chiamati a riscoprire il senso del limite, del confine. I margini, tra realtà e immaginazione, tra digitale ed analogico, tra virtuale e concreto, tra biologico e tecnologico sono stati ormai talmente valicati che le differenze tra questi poli antinomici sono sparite. Riportare ordine è una sfida che ci trova tutti coinvolti; distinguendo si può ben definire, concettualizzare ed indicare ciò ci cui si sta parlando, ciò di cui si sta facendo esperienza. Ed ora, a noi, cosa resta? Resta la consapevolezza che solo la memoria e il ricordo possano essere risposta al limite invalicabile segnato dalla morte. E se è vero che il Regno, pur tardi, giungerà. Nella speranza, testimoniamo quel che insieme abbiamo percorso. La bellezza del vivere è il cammino compiuto insieme, nella certezza che ciò che alla fine rimarrà è il sorriso, l’accoglienza, il cuore, con il quale abbiamo aperto le braccia all’altro.
Rosaria Catanoso